10 aprile 2016

LA MIA VILLOCENTESI





LA MIA ESPERIENZA CON IL PRELIEVO DEI VILLI CORIALI
- LA VILLOCENTESI -

LUOGO ESECUZIONE VILLOCENTESI: OSPEDALE SANTA CROCE E CARLE - CUNEO

DATA: 22 MARZO 2016

 

DISCLAIMER: Questo post parla di una procedura diagnostica prenatale INVASIVA, e potrebbe urtare la sensibilità di certe persone che per vari motivi, che rispetto ugualmente senza condividere, sono contrarie a questo genere di indagini prenatali. Altrettanto potrebbe urtare la sensibilità delle donne che hanno scelto di sottoporsi alla villocentesi in un momento successivo alla lettura della mia PERSONALE ESPERIENZA e ribadisco personale, che non sarà lontanamente la fotocopia di quello che un’altra donna potrebbe provare nelle stesse circostanze a maggior ragione che si tratta di percezioni fisiche molto diverse da persona a persona. Mi sento comunque in dovere di consigliare a chi è così sensibile da farsi influenzare da racconti altrui, di non proseguire nella lettura di questo post centrato su questo argomento. Ringrazio cortesemente per la vostra comprensione.

 

                Non ho ben chiaro il motivo per cui non ho pubblicato questo post già nel giorno che lo avevo scritto nella mia agenda, il 24 marzo 2016, cosi come non ho ben chiaro il motivo per cui lo voglio pubblicare adesso. Potrebbe essere un (già fallito in partenza) tentativo di esorcizzare il tsunami di sentimenti non solo forti ma anche contrastanti e che si sono trovati a fare a pugni, con me in mezzo ad assistere impotente, incredula e profondamente marcata? Potrebbe essere. Cosi come potrebbe essere la mia umile e tremante “mano” sulla spalla di un’altra donna che quest’esperienza, come me, l’ha già vissuta di recente…e con la quale provo a dirle diversamente: so bene cosa hai provato prima, durante e dopo e ti sono vicina, molto vicina. Non mi dilungo più, qualunque sia la ragione che mi spinge a scriverlo qui, spero solo che non sarà così mal interpretata senza via d’appello e senza conoscere i tormenti di chi a questo genere di indagini si sottopone non con spensieratezza e serenità come potrebbe sembrare.  Pronta invece a essere giudicata, l’ho già fatto in prima persona pur nella convinzione di aver fatto la cosa giusta per questo esserino in primis e per me e mio marito in secondo luogo.

Certamente non ho resistito alla tentazione di cercare in rete, ancora prima di fare la prenotazione, esperienze con la villocentesi e devo dire che le più parlano solamente dell’amniocentesi, molto più popolare nell’ambiente ospedaliero e non  e non della villocentesi (che interessava a me in quanto più precoce come diagnosi)  e che pur essendo simili come procedimento (mega ago alla mano sotto controllo ecografico e così via) si svolgono in epoche diverse, la prima permette gli accertamenti avendo come materiale di studio il liquido amniotico mentre la villocentesi anziché penetrare nel sacco amniotico, presuppone l’indagine in corrispondenza del trofoblasto, il tessuto che darà poi origine alla placenta e che verrà aspirato in piccola quantità (10 – 15 mg). Resta sempre valida la regola della soggettività delle esperienze da persona a persona, ancora di più in ambito medico dove si ha a che fare con il dolore non solo fisico ma anche psicologico (per rendere l’idea: c’è chi dal dentista va fischiando e chi entra solo sotto tortura dei parenti, ma non per questo rinunciamo ad andare da lui).

                Arrivato il temuto e tanto ragionato 22 di marzo 2016, dire che ero tesa fin dal giorno della prenotazione, intorno al 24 febbraio mi pare, è dire troppo poco. Non avessi avuto vicino mio marito, non sarei andata all’ospedale per quanto mi sarei sforzata a considerare “famigliare” il dottore che avrebbe dovuto eseguire il prelievo dei villi, essendo lo stesso della prima ecografia, per altro eseguita rigorosamente in privato solo grazie alle poche indicazioni ricevute in Consultorio, ma racconterò tutto in un post dedicato alle visite di rito.  Programmata per le 08.30, in verità ero sveglia dalle 3, ma è già tanto aver chiuso gli occhi un po’ di ore. Colazione fatta, siamo andati all’ospedale in anticipo, lasciando l’auto sulle strisce riservate alle moto (lungo applauso!!! ) tanto da ritrovarla con una multa di ben 28 euro stampata in fronte, al ritorno. Quando si dice la ciliegina sulla torta… Eravamo i primi (altri applausi); poi sono arrivate altre coppie ma noi sempre primi, non sia mai che mi perdessi il privilegio di essere la prima sul patibolo.  

Arriva il dottore. E’ LUI! Magra consolazione lo so, ma intanto un tassello c’era al suo posto. Facciamo le formalità in accettazione poi ci chiama il dottore, altra serie di accertamenti e firme. Gli attrezzi pronti, devo stendermi sul letto togliendo il maglioncino e sbottonando i pantaloni, abbassandogli leggermente. (Se vi domandate perché grazia di Dio una mette il maglioncino a fine marzo vi spiego che a Cuneo fa freddo anche adesso ad aprile, figuriamoci a marzo). Avrei voluto morire, e nemmeno sapevo in quel momento quanto ragionevole fosse tale pensiero. L’infermiera mi preleva sangue dal braccio sinistro. Si, sinistro perché il sinistro è diventato il mio braccio forza che offro sempre in pasto ai “vampiri”, il destro mi fa paura mentre con il sinistro me ne vanto. Dopo il prelievo, mi passa un cotton fioc all’interno della bocca spiegandomi a cosa serviva ma io non ho sentito effettivamente niente. Anzi, ho sentito ma non ho capito un granché forse perché mi concentravo più che potevo per convincermi che:

1 – devo stare ferma;

2 – prima inizia prima finisce;

3 – rilassati!

Tutte frottole. Applicata con rigore SOLO la prima.

Inizia l’ecografia. Malgrado mi ero promessa di non guardare nemmeno un attimo, mi è salito lo sguardo sullo schermo. Ho visto il gambero/la gamberetta come dice mio marito. Io lo/la chiamo inquilino/inquilina. Lo dico scherzando per allontanare il pensiero a quel nodo in gola che si è fatto spazio mentre guardavo pensando di morire soffocata. Dovrei saltare da questo letto e scappare via, pensai in quel preciso istante ma non l’ho fatto. Totalmente inerme. Forse d’istinto, o forse per la mia sempre più pungente autoconvinzione di non muovermi minimamente, anche lui/lei non si muove di una virgola. E’ come sullo schermo vedessi di fatto me, in miniatura, con tutte le paure che sento e con il terrore che, se mi muovo, sarà peggio! Spostai lo sguardo. Non reggevo più…la colpa…il pensiero fugace che, lei/lui non conosce e non può capire adesso le ragioni che mi hanno portata oggi su questo letto, in questo ospedale, malgrado il mio voler essere ovunque altrove.  

                “- Sentirai una puntura…” disse o il dottore, o l’infermiera non saprei con precisione, non ho fatto (volutamente?) caso se la voce fosse di una donna o di un uomo. Non avrebbe cambiato il senso di tutto ciò che stava accadendo con me, e dentro di me. Magari fosse stata la puntura il problema, ma magari. Ma mi farei pungere cosi a colazione, pranzo e cena senza problemi e ripensamenti. Ma non è affatto la puntura, per quanto la si può percepire dolorosa, il centro del inferno, cosi come quello che iniziai a sentire in seguito alla puntura. Hanno permesso a mio marito di assistere pero, con il seno di poi, mi dispiace abbia visto la mia sofferenza; dall’altra parte pensavo ancora che lui era l’unico a poter tenere sotto controllo quel piccolo esserino che, più nolente che volente sarebbe stato “disturbato” proprio nell’intimità di “casa sua” di una puntura e successivo prelievo di villi coriali. Non sono stata fortunata a sentire solo la puntura, infatti mi domandai all’istante: tutto qui? Ma che? Non l’avessi mai detto. Io che sono brava ad immaginare il peggio, io che minimizzo quello che potrebbe andare bene e ingigantisco quello che potrebbe andare storto, io che mentalmente per giorni e notti prima del 22 marzo avevo già provato quel dolore e imparato a gestirlo con dignità, mi trovai tutta di colpo ad essere sopraffatta dal dolore/fastidio che generava il prelievo in se, quel via vai con l’ago all’interno dell’addome mi faceva quasi perdere i sensi, pensavo che svenire mi potesse aiutare ma nemmeno quello mi è venuto incontro, anzi. Sono rimasta lucida dall’inizio alla fine, troppo lucida, maledettamente lucida e la fine sarebbe si arrivata ma dopo un’infinità. Tanto sono durati i due interminabili minuti, un’infinità.

                “- Ecco, abbiamo finito e tu sei stata bravissima, non ti sei mossa di un millimetro, proprio brava!”  In altre circostanze sarei stata fiera di me, ma adesso sono uno straccio e continuare a sentire il dolore anche dopo questo confortante “abbiamo finito” mi butta nella disperazione di chi non capisce più che cosa sta succedendo, di chi perde anche il controllo del proprio impercettibile respiro. Perché non smette? Il dolore lo sento, uguale a prima, a tratti anche più forte. Cosa vuol dire? Sono solo io? Capita solo a me? Qualcosa è andato storto? Inizia il peggio? Ho compromesso tutto? Non potrò più vivere, non lo merito! Non voglio!

A fine procedura l’infermiera ha iniziato a fare pressione con entrambe le mani sul basso ventre nel perimetro dell’esecuzione del prelievo, una pressione così forte che non faceva altro che aggiungere altro dolore a quello che io già non avevo mai smesso di sentire. Non ce la faccio più, la prego si fermi, dissi…ma l’imprecazione la sentivo solo io in quanto la mia voce non oltrepassava le labbra, non avevo forza per spingere fuori l’urlo che avrei voluto fare. Passa un altro lungo minuto cosi. Per resistere a tutto questo, fin dall’inizio avevo raccolto le mani sopra il seno come in una preghiera e questo mi ha aiutata a:

1 - non respirare troppo energicamente creando un movimento toracico amplificato che avrebbe solo creato dei danni;

2 – a non vedere né il dottore né l’infermiera, né aghi & co. Il mio proposito era stato fin dal principio quello di tenere gli occhi chiusi, peccato che il dolore troppo forte non mi ha permesso di tenerli chiusi nemmeno per un secondo mannaggia;  

3 – a pregare effettivamente (preghiere confuse e deliranti ma sempre preghiere).

Dopo l’ecografia di controllo con la quale il dottore ha accertato la presenza del battito cardiaco del feto a seguito del piccolo “intervento” traumatico e dopo altri 5 minuti a riposo, mi sono rialzata e ho baciato per terra per le due pastiglie di Buscopan offerte dalla gentilissima infermiera (si vede che facevo proprio pietà, ma meglio cosi, chissenefrega ???) Ancora oggi dopo 3 settimane non osso immaginare come sarebbe stata quella giornata senza il Buscopan che ha alleviato moltissimo il dolore e ha impedito il mio suicidio.

                All’uscita dall’ambulatorio, un’altra copia aspettava, intuivo, per le stesse ragioni. Ho visto me in lei. Talmente intimorita, agitata e spaventata che, senza dire mezza parola, sembrava di implorare clemenza. Mi vide sfigurata dal dolore. Avrei voluto fingere, tanto, e lo avrei fatto, per lei…ma era tardi, aveva visto quanto ero sconvolta. Quasi per rimediare sussurrai con voce fiacca ma per quanto mi era possibile convincente: qui nessuno le farà del male signora, provi a stare tranquilla! Non mi ha creduta ovvio, eppure, per evitare il dolore a lei, visto lo strazio che (ormai) avevo passato, mi sentivo in diritto di pretendere la clemenza per quella donna tanto sconosciuta a me ma anche tanto vicina come nessun’altra. Le ho fatto un grosso in bocca al lupo e ho pregato da quel giorno non solo per me, ma anche per lei.

L’esito tra almeno 3 - 4 settimane. Un’altra infinità. Oggi siamo a 3 settimane e sistematicamente ogni notte mi sveglio verso le 4 e non prendo più sonno. Ho fatto bene? Ho fatto male? E’ giusto? Chi sono io per decidere? E se? E se no? Tanti pensieri. Mi aggrappo alla speranza che tutto andrà bene, che lei/lui sta bene ed il tutto sarà confermato da questo risultato che ancora deve arrivare. Un risultato che cambierà tutto per  noi tre: per lei/lui – leggessi l’inquilina/o, per me e per il papà. Il resto del Mondo gira lo stesso intorno al Sole, per noi invece è tutto in attesa, totale apnea. Che Dio aiuti tutti noi tre ad uscire più forti da tutto questo!

P.s. Sono rimasta a letto due giorni e le fitte le ho sentite poi durante lo stesso giorno, la notte e un po’ anche il giorno dopo, ma niente di allarmante anche se il timore del peggio non cena ad andarsene. Infatti la sera del giorno dopo, sono caduta in un pianto che si voleva liberatorio. Va bene, si è dimostrato solo un pianto, niente liberazione.    

13.04.2016 - ancora nessuna notizia dall'Ospedale. Sto' perdendo la lume della ragione. Ogni chiamata sul cellulare ingigantisce ancora di più il nodo perenne che mi ritrovo in gola ancora da molto prima di fare la villo il mese scorso. Chi ha passato tutto questo conosce molto bene il mio stato d'animo e mi domando come avrà fatto a mantenere la calma nella lunghissima attesa, perché io mi sento di crollare? Aiuto!!

20.04.2016 - un accesso di preoccupazione mista ansia/paura, che sarebbe meglio chiamarlo raptus, mi ha fatto chiamare l'ospedale: forse le mie analisi si sono perse, forse aspettano che sia io a cercarli, forse non mi hanno trovata, il telefono non prendeva, forse hanno perso i miei dati, tante paranoie tutte di colpo. Dopo vari ping-pong tra numeri di telefono, passando pure per quello della Sala parto (ma anche no, grazie per adesso!),

quello che ho potuto scovare è stato che i risultati arrivano a Cuneo nelle giornate di martedì, mercoledì e giovedì di ogni settimana (devono passare almeno 4 settimane dall'esecuzione della villocentesi) e che, immediatamente vengono comunicati telefonicamente alla diretta interessata, dopo di che il risultato cartaceo dettagliato viene spedito a domicilio... "- ...ma lei stia tranquilla!" disse con premura la gentile interlocutrice provando ad abbassare le quote stratosferiche toccate dal mio livello di adrenalina. E come, vorrei saperlo anch'io ??? Aummm, aummmm ... Come se non bastasse, oggi 21 aprile alle 14.30 c'è la conferenza stampa di Draghi, dopo tutto, un po' di sana volatilità sul mercato mi mancava proprio...aummm....E daje con la tranquillità!!